Chi sono quei ciclisti che ogni luglio girano la Francia, percorrendo migliaia di chilometri tra campagne, montagne leggendarie o ciottolati della Seconda Guerra Mondiale? Cosa li motiva a sfidare la canicola estiva, le tempeste pirenaiche o alpine, o il vento mistral del Mont Ventoux fino al punto di esplorare i limiti dello sforzo umano? In quanti modi si può trionfare? Chi ha inventato il Tour e perché?
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Come si spiega che sia il terzo evento sportivo più popolare dopo il Mondiale di calcio e i Giochi Olimpici? Andiamo alle risposte, immergiamoci in quasi 120 anni di dati, curiosità e miti…
La storia: come, quando e perché è nato il Tour?
Immaginiamoci nella Parigi del 1902, precisamente nel Boulevard de Montmartre, in un Café - Ristorante chiamato Zimmer. E immaginiamo un pranzo di lavoro tra capo e dipendente. Uno è Henry Desgrange, dirige un giornale dalle pagine gialle in crisi: L’Auto – Vélo; l’altro è Géo Lefèvre, il giovane giornalista di 23 anni che Desgrange ha sottratto a Le Vélo, il quotidiano concorrente dalle pagine verdi, letto molto di più, sotto la direzione del suo rivale e antico maestro: Pierre Giffard. Il giovane Lefèvre è un appassionato di bici, ed è lì perché ha un’idea da proporre al suo capo, una sorta di formula magica per rilanciare le vendite di L’Auto che espone tra il caffè e il dessert: organizzare una carrera che giri la Francia in sei tappe che vuole chiamare i Sei Giorni della Strada. Desgrange è scettico: “Stai proponendo un Giro di Francia?”, sembra dire. Ma dopo l’impatto iniziale decide di chiarire i dubbi e consulta la fattibilità dell’idea con il contabile del giornale, Victor Goddet, che capisce subito che ciò che sembra una follia può essere la soluzione per vendere più giornali.
Così Goddet dà il via libera a Desgrange e, da quel giorno, 20 novembre 1902, il direttore si mette all’opera per organizzare una carrera senza precedenti. Esiste, sì, la Parigi – Rouen, dal 1869; anche la Parigi – Roubaix, creata nel 1896 dal maledetto Giffard e il suo Le Vélo. Ma non si era mai fatto nulla a tappe, con quel chilometraggio, con quelle pretese… Desgrange si trova davanti a colossali difficoltà, soprattutto logistiche e di finanziamento, ma ottiene l’aiuto di tre imprenditori arrabbiati con la linea editoriale di Giffard su Le Vélo: sono Dion, Clement e Michelin. Sarà una battaglia all’ultimo sangue tra due giornali, e solo uno sopravviverà.
La prima edizione del Tour partì il 1 luglio 1903 con 60 ciclisti; le biciclette che usavano pesavano più di 20 chili e avevano un solo rapporto di 54x17
Uno ad uno, Desgrange supera gli ostacoli, fino ad arrivare all’ultimo: il basso numero di iscritti. Decide di risolverlo tagliando corto: abbassa la quota da venti a dieci franchi e alza il montepremi fino a trentamila. Et voilà!: il 1° luglio 1903 parte il primo Tour de France con sessanta ciclisti. Dei primi iscritti, diciannove si sono ritirati, forse per non essere chiamati pazzi, visto che è ciò che molti pensano dopo aver visto che bisogna coprire 2.428 chilometri in sei tappe e 19 giorni di carrera, con parte delle notti, e che ci saranno solo due giorni di riposo. Circa duemila persone rispondono alla chiamata dell’insolito e vedono partire il gruppo pionieristico nella località di Montgeron, circa venti chilometri a sud-est di Parigi, accanto alla locanda Au Réveil Matin La Sveglia. Da lì partono ciclisti liberi di portare la bici che vogliono, purché sia mossa esclusivamente dalla forza muscolare. Ciò che oggi sembra una sfida ciclopica si riassume così: tutte le bici superano i venti chili, senza contare gli attrezzi da portare, perché sono vietate le auto di assistenza, gli allenatori, i meccanici… Inoltre funzionano con una combinazione fissa tra corona e pignone di 54x17; non ci sono cambi, dato che quell’invenzione verrà introdotta solo nel 1937. I primi coraggiosi della strada dovranno così percorrere i 467 chilometri della prima tappa fino a Lione, con cui inizia la storia del Tour de France.
Come vincere il Tour: la strada verso la maglia gialla
Ora sappiamo come e perché nasce il Tour, quindi vediamo ora cosa bisogna fare per vincerlo. Semplicemente, essere il più veloce. Il primo campione del 1903 fu il francese di origine italiana, Maurice Garin, e vinse perché fu quello che impiegò meno tempo nella somma delle sei tappe fino a Parigi: 94 ore, 34 minuti e 14 secondi. L’ideatore del Tour, Géo Lefèvre, fu colui che introdusse quel modello di classifica generale basato sull’accumulare i tempi delle tappe, ancora oggi così attuale, anche se quella prima edizione ebbe alcune particolarità che vale la pena spiegare, come il fatto che i corridori dovessero scendere di sella per firmare ai controlli di passaggio, o che abbandonare in una tappa non significasse dire addio alla carrera, ma che il ciclista potesse disputare la tappa successiva, anche se ormai fuori concorso per la classifica generale. Maurice Garin coprì le sei tappe del 1903 con quasi tre ore di vantaggio sul secondo classificato, il connazionale Lucien Pothier. Dopo di loro, solo altri diciannove ciclisti riuscirono a finire, l’ultimo a quasi sessantacinque ore. Il resto si perse tra ritiri e squalifiche per imbrogli, qualcosa che fu già un vero problema nel 1904. In quell’edizione, molti ciclisti furono squalificati per cose come usare i treni, sfruttare la scia delle auto, ricevere aiuti esterni… Non si salvarono nemmeno Maurice Garin, vincitore privato del titolo mesi dopo, né i successivi tre della Generale. Neppure i vincitori di tappa. Tutti furono sanzionati dopo un’indagine approfondita.
La maglia gialla fu introdotta nel 1919, dopo la Prima Guerra Mondiale; fu scelto quel colore perché era il colore delle pagine del giornale L'Auto
Lo scandalo del 1904 cambiò il sistema per il 1905, quando fu adottata la classifica a punti per determinare il campione assoluto del Tour: il primo ciclista a tagliare il traguardo riceveva un punto, e gli altri sommavano un punto in più rispetto al ciclista che arrivava subito prima di loro, più un punto aggiuntivo ogni cinque minuti di distacco. Il francese Louis Troussellier fu colui che totalizzò meno punti e, quindi, il primo vincitore con la nuova formula, che rimase in vigore fino a quando il sistema per somma dei tempi fu reintrodotto definitivamente a partire dal Tour del 1913.
A questo punto entra in gioco il mitico maillot giallo, introdotto nella prima edizione dopo la Prima Guerra Mondiale, quella del 1919. Fu un'idea di Henry Desgrange per distinguere il leader della classifica generale, utilizzando il colore delle pagine di L’Auto – Vélo. Quell'anno, il primo a indossarlo fu Eugène Cristophe, a partire dall'undicesima tappa, delle quindici previste per coprire il colossale percorso di 5.560 chilometri. Il francese non riuscì a conservarlo fino a Parigi, e fu il belga Firmin Lambot il primo a indossare il prezioso indumento come vincitore assoluto al Parco dei Principi. Quel 27 luglio 1919 iniziò la leggenda del maillot giallo come simbolo del campione a Parigi, ma la storia del Tour si scriverà anche con altri colori, nella misura in cui l'organizzazione ideò altri modi di vincere, seppur non così importanti, comunque degni di menzione. Vediamo quali per capire meglio la carrera.
Gran Premio della Montagna: il maillot a pois
L'introduzione graduale delle classifiche secondarie ha aperto nuove possibilità di vincere il Tour, seppur non importanti come la classifica generale, ma comunque sufficientemente rilevanti da esaltare ciclisti con qualità specifiche, anche se non necessariamente i migliori e più completi. In questa sezione, conviene citare innanzitutto il Premio della Montagna, un riconoscimento che risale all'edizione del 1905, quando il Tour affrontò la sua prima salita di una certa importanza al Ballon d'Alsace, nella catena dei Vosgi. Da quell'anno, L’Auto – Vélo si occupò di scegliere il miglior scalatore della carrera senza punteggi, fino a quando Henri Desgrange decise di introdurli nell'edizione del 1933, nella quale Vicente Trueba, La Pulce di Torrelavega, fu incoronato Re della Montagna. Il ciclista cantabrico, che aveva chiuso l'albo d'oro deciso per designazione da L’Auto vincendo nel 1932, aprì la storia della classifica a punti, ma a Parigi non indossò alcun maillot. Nemmeno il grande Federico Martín Bahamontes, sei volte miglior scalatore del Tour, lo indossò. Perché? Perché la maglia distintiva del leader della Montagna arrivò solo nel 1975, quando il Tour de France decise di istituire il maillot a pois, ovvero a punti rossi su fondo bianco, i colori utilizzati dalla marca di cioccolato sponsor sulle sue confezioni.
Il primo a indossarlo sul podio di Parigi fu il belga Lucien Van Impe, un altro dei grandi della classifica degli scalatori.
I valichi di montagna vengono classificati in base a diversi fattori, come l'altimetria, la lunghezza, il dislivello o la posizione che occupano nella tappa
Il Gran Premio della Montagna viene assegnato al ciclista che accumula più punti sulle cime dei valichi del Tour, e maggiore è la difficoltà della salita, maggiore è il bottino in vetta. Per questo l'organizzazione stabilisce cinque categorie di valichi: quattro di esse sono numerate e vanno dalla salita più accessibile di quarta categoria a quella di maggiore difficoltà, di prima, passando per i valichi di seconda e terza categoria; l'altra è la più speciale e corrisponde ai valichi più duri, chiamati in Francia Hors Catégorie, o Fuori Categoria. La classificazione dipende soprattutto dall'altimetria, con dati oggettivi come la lunghezza, il dislivello da superare o la pendenza della salita; ma intervengono anche aspetti più soggettivi, come la posizione del valico, che può veder aumentare la sua categoria quanto più si trova verso la fine, soprattutto se la tappa termina in salita. L'attuale ripartizione dei punteggi secondo le categorie è la seguente: i Fuori Categoria assegnano punti ai primi otto corridori che li superano, rispettivamente 20, 15, 12, 10, 8, 6, 4 e 2 punti; quelli di Prima Categoria premiano i primi sei, con 10, 8, 6, 4, 2 e 1 punto; quelli di Seconda riducono il numero ai primi quattro, con 5, 3, 2 e 1 punto; quelli di Terza Categoria danno 2 punti al primo e 1 al secondo; e quelli di Quarta danno solo 1 punto al primo che raggiunge la vetta. L'organizzazione si riserva in ogni edizione incentivi aggiuntivi, come il raddoppio del punteggio sulla cima più alta della carrera (Premio Henri Desgrange), oppure su arrivi in salita specifici.
Classifica a punti: la maglia verde
Come abbiamo visto ripercorrendo la storia dei suoi inizi, il Tour de France utilizzò già un sistema a punti per determinare il vincitore della classifica generale dal 1905 al 1914. Per questo nel 1953, quando si celebrò il mezzo secolo di vita della corsa, l'organizzazione decise di riprendere quella formula per creare una nuova classifica secondaria che premiasse la regolarità dei corridori. A differenza del Gran Premio della Montagna, la cui maglia dovette aspettare più di quarant'anni, la Classifica a Punti o Premio della Regolarità ebbe la sua maglia distintiva fin dall'inizio. Il suo caratteristico colore verde fu un omaggio a un'altra delle aziende sponsor, questa volta una marca di tosaerba. Il sistema della Classifica a Punti favorisce gli specialisti della volata, che dominano il suo albo d'oro perché sono statisticamente quelli che vincono più tappe nell'era moderna.
Favorisce anche loro la formula introdotta di assegnare più punti nelle tappe pianeggianti che in quelle di alta montagna o a cronometro, oltre al bonus che possono ottenere negli sprint intermedi. Ma come in tutto, ci sono eccezioni, come quella di Eddy Merckx: il campione belga, cinque volte vincitore della Generale, ha indossato la maglia verde fino a tre volte a Parigi, senza dubbio grazie alle portentose qualità che lo hanno portato a vincere la bellezza di trentaquattro tappe, il record del Tour. Tuttavia, il primato spetta a due velocisti: lo slovacco Peter Sagan, leader con sette maglie verdi, e il tedesco Erik Zabel, che ne ha vinte sei consecutivamente dal 1996 al 2001.
Classifica del Miglior Giovane: la maglia bianca
L’edizione del 1975 del Tour de France inaugurò due maglie: oltre alla maglia a pois della Montagna, quell’anno fu creata la Classifica del Miglior Giovane e si decise di distinguerla con la maglia bianca lasciata vacante dalla soppressione della Classifica Combinata, di cui parleremo più avanti. Il Tour decise di dedicare il nuovo premio a quei corridori di età inferiore ai ventisei anni durante la carrera e che inoltre non abbiano compiuto venticinque anni prima del 1º gennaio precedente all’edizione in cui partecipano. Per determinare il Miglior Giovane, il Tour elimina dalla classifica generale a tempi i corridori con più di ventisei anni e rimane solo con quelli che soddisfano i criteri indicati.
Il limite di età stabilito dà un certo margine affinché i corridori più precoci possano puntare a diverse vittorie al Tour vestiti di bianco. Furono i casi del tedesco Jan Ullrich e del lussemburghese Andy Schleck, i due ciclisti con più successi – tre ciascuno – nelle quarantasei edizioni in cui è stato assegnato questo premio.
Tra il 1983 e il 1986 la maglia bianca era riservata unicamente ai ciclisti debuttanti al Tour
Tuttavia, non sempre c’era la possibilità di ripetere la vittoria, poiché tra il 1983 e il 1986 la maglia bianca poteva essere disputata solo dai debuttanti al Tour. Il francese Laurent Fignon, vincitore della maglia gialla e della maglia bianca nel 1983, non poté essere distinto l’anno successivo come Miglior Giovane nonostante avesse vinto il suo secondo Tour consecutivo un mese prima di compiere 24 anni. In quell’edizione del 1984, fu l’americano Greg Lemond a sfruttare la situazione per indossare la maglia bianca come miglior debuttante, ma come Fignon non poté puntare a ripetersi nel 1985, quando fu secondo nella Generale, dietro Bernard Hinault, e la vittoria tra i giovani andò al colombiano Fabio Parra. L’americano Andy Hampsten chiuse nel 1986 il piccolo palmarès del formato del miglior debuttante, e il Tour recuperò nel 1987 i criteri originali per incoronare il Miglior Giovane della carrera.
Premio della Combattività
Nei finali di tappa si vede anche salire sul podio il corridore più combattivo della giornata. È l’unico premio che non è soggetto a classifiche ed è il più soggettivo, poiché il vincitore viene scelto da una giuria - generalmente composta da ex corridori - in base alla battaglia che ha mostrato durante la carrera. Non poche volte la Combattività è una sorta di premio di consolazione per il ciclista di vocazione offensiva che è rimasto alle porte della gloria, dopo essere stato protagonista di una lunga fuga o aver lanciato diversi attacchi che contribuiscono allo spettacolo, anche se nei primi tempi esisteva una classifica a punti. Il premio fu introdotto nel 1951 per distinguere il più combattivo di ogni tappa, e fu ampliato nel 1956 per poter premiare il più combattivo di tutta la carrera, purché arrivasse al traguardo di Parigi. In questo caso, non ci sono maglie per distinguere il vincitore, ma uno sfondo rosso sul dorsale e l’onore di salire sul podio nei protocolli di fine carrera.
La scomparsa Classifica Combinata
Presentati i quattro premi attuali del Tour con le rispettive maglie, conviene ricordare che dal 1968 al 1989 esistette un’altra classifica destinata a distinguere i corridori più completi: la Combinata. Per elaborarla, l’organizzazione sommava le posizioni ottenute dai ciclisti nella Generale e nelle classifiche della Montagna e della Regolarità, al fine di dichiarare vincitore del premio il corridore con meno punti nel computo globale delle tre. L’italiano Franco Bitossi inaugurò l’albo d’oro nel 1968, totalizzando undici punti. Poi arrivarono quattro vittorie consecutive di Eddy Merckx (1969-1972), senza mai salire oltre i cinque punti!, e il belga aggiunse un quinto trionfo nel 1974. Fu l’ultimo anno prima che la maglia bianca distintiva della Combinata venisse utilizzata per la Classifica del Miglior Giovane, creata l’anno successivo. Il premio scomparve da quell’edizione del 1975, e riapparve nel 1980 con una maglia tanto peculiare quanto ricordata, formata da ritagli con i colori degli altri premi della carrera. L’olandese Steven Rooks, il ricordato rivale di Perico Delgado nel suo Tour vittorioso del 1988, fu l’ultimo a vincere la Combinata nel 1989.
Classifica a Squadre: dorsali e caschi gialli
Henri Desgrange volle fin dall’inizio che il Tour de France fosse una sfida individuale, la lotta di un uomo per vincere un percorso. Per questo non ammise che i ciclisti lavorassero in squadra, anche se vi erano casi di corridori che condividevano lo stesso sponsor. Alla fine, il patron della carrera cambiò idea nel 1930, quando ammise la presenza delle selezioni nazionali e creò il cosiddetto Défi International, il premio destinato a distinguere la miglior squadra del Tour in base a una classifica di tempi accumulati per la quale venivano conteggiati i tre migliori di ogni squadra, sebbene nel corso della storia della modalità siano state introdotte variazioni, come il sistema di classifica a punti introdotto nel 1961, già sotto la direzione di Jacques Goddet. La formula durò appena due anni e il sistema a tempi tornò nel 1963, quando già le squadre commerciali iniziarono a sostituire le selezioni nazionali , qualcosa che è stato definitivo a partire dal 1969. Come accade negli altri premi, anche la Classifica a Squadre ha un suo distintivo. Tra il 1952 e il 1990 venivano utilizzati i cappellini gialli tra i membri della squadra leader.
Con l’arrivo del casco obbligatorio, i cappellini sono scomparsi e solo nel 2006 l’organizzazione ha deciso di mettere uno sfondo giallo sui dorsali. Questa distinzione è stata rafforzata dal 2012 con i caschi gialli. Nell’albo d’oro per squadre spiccano le sette vittorie della struttura spagnola Movistar, contando anche quelle ottenute sotto la precedente sponsorizzazione Banesto, e le quattro di una squadra mitica come il Kas.
Come si configurano le squadre del Tour: sport individuale o collettivo?
Dopo aver rivisto i vari premi e modi di vincere, può sorgere il dubbio se il ciclismo sia uno sport individuale o di squadra. Per trovare la risposta conviene spiegare i diversi ruoli che ogni corridore assume in base alle proprie qualità all’interno di una struttura, e com’è la cultura collettiva del ciclismo. Sia al Tour che in molte altre corse, la grande maggioranza dei ciclisti lavora a favore di un capitano, come viene chiamato il corridore a priori più forte ed esperto e, quindi, la scommessa più sicura per vincere i premi che poi ricadranno sul collettivo, poiché tutto ciò che si vince di solito viene diviso, inclusi tecnici e assistenti. Questo capitano si circonda di una sorta di guardia del corps composta dai gregari - o coequipiers, come si dice in Francia - ognuno con un ruolo da svolgere in base alle proprie caratteristiche. Così, un gregario qualificato per la salita sarà la scorta del capitano sulle salite più dure, un altro che si distingue come passista lo farà nelle tappe pianeggianti, anche nelle valli tra le salite delle tappe di montagna… Oppure se il leader non punta alla Generale ma alla Regolarità, quei gregari saranno velocisti capaci di lanciare il capitano in volata. Questa filosofia è rara da vedere in altri sport, ed è quella di spingere tutti insieme un solo uomo affinché ottenga il successo individuale, in modo che la ricompensa ricada sul bene collettivo.
Tattiche e strategie per vincere il Tour de France
La complessità di una carrera come il Tour de France, la diversità di terreni che offre il suo percorso durante gli attuali ventuno giorni di carrera, obbliga a scegliere con molta attenzione le strategie per ottimizzare il rendimento dei corridori e ottenere i migliori risultati. Ad esempio, se una squadra è guidata da uno scalatore, la strategia dovrà essere conservativa nelle tappe pianeggianti e aggressiva in quelle di montagna, scegliendo giorni molto specifici per attaccare. Normalmente, in questo caso il capitano avrà aiutanti molto dotati per la salita, e ognuno avrà un ruolo più o meno da protagonista in base alle sue condizioni. Così, il gregario più forte dopo il capitano sarà l’ultimo a restargli accanto per evitargli di rispondere agli attacchi in prima persona, o per impostargli il ritmo giusto che gli permetta di scattare o, in caso contrario, di annullare la fuga di un rivale.
Le strategie seguite dalle squadre non devono necessariamente essere orientate a vincere la classifica generale, poiché il Tour offre altre possibilità di successo
In precedenza, il direttore della squadra potrebbe aver utilizzato nella sua strategia altri gregari meno qualificati per evitare di far lavorare il leader nei momenti meno critici della carrera, ad esempio neutralizzando fughe premature o proteggendolo dal vento pedalando davanti a lui. Questi gregari hanno anche compiti come rifornire il loro leader con borracce d'acqua o assisterlo in caso di guasto, cedendogli se necessario la propria bicicletta. Tutte queste tattiche e strategie non devono per forza essere finalizzate a vincere la classifica generale, perché, come abbiamo visto, il Tour de France offre molte altre possibilità, oltre a una maglia gialla destinata solo ai prescelti e che, quindi, non è un obiettivo alla portata di tutte le squadre. Le strategie possono puntare a ottenere vittorie di tappa, con specialisti delle fughe o velocisti; oppure possono mirare a classifiche secondarie come la Montagna o la Regolarità, o addirittura alla classifica a squadre, un obiettivo che di solito non è prioritario, ma che la lotta corale per i grandi premi individuali spesso rende raggiungibile, aggiungendo una componente strategica ulteriore per ottenerlo.
I grandi campioni
La vasta storia del Tour de France ha dato grandi campioni che hanno iscritto il proprio nome nell'albo d'oro più esteso e prestigioso di tutti i grandi giri. In testa ci sono quattro ciclisti che hanno ottenuto cinque vittorie assolute a Parigi: il belga Eddy Merckx, i francesi Bernard Hinault e Jacques Anquetil e lo spagnolo Miguel Induráin, l'unico a conquistare cinque maglie gialle di fila. Dietro di loro figura il britannico di origine keniota Christopher Froome, l'unico con quattro vittorie, e corridori come l'americano Greg Lemond o il francese Louison Bobet, con tre. Tuttavia, aspetti come la fatalità, l'epica e la leggenda insiti nel Tour fin dalla sua creazione hanno consacrato altri campioni nell'immaginario collettivo, senza bisogno di esibire un palmarès così brillante: gli italiani Gino Bartali e Fausto Coppi figurano con solo due vittorie, ma è opinione diffusa che entrambi avrebbero vinto molto di più se non fosse intervenuta la Seconda Guerra Mondiale. Lo spagnolo Federico Martín Bahamontes, scelto dall'organizzazione come il miglior scalatore della storia, vinse solo una volta a Parigi, ma ottenne altri due podi assoluti, si proclamò sei volte Re della Montagna e fu protagonista di diverse imprese indimenticabili sui passi francesi...
Quel santuario di eroi riserva spazio anche a ciclisti che non hanno mai vinto a Parigi ma hanno conquistato il cuore degli appassionati, come il francese Raymond Poulidor, che arrivò tre volte secondo e fu terzo in cinque occasioni, senza trovare l'antidoto per contrastare la tirannia esercitata da Jacques Anquetil ed Eddy Merckx negli anni Sessanta e Settanta.
Il più grande evento ciclistico del mondo
La storia, le leggende, i grandi campioni e il talento organizzativo sono stati alcuni degli ingredienti che hanno portato il Tour de France dall'essere il sogno innovativo di un giovane giornalista di 23 anni, che trovò eco tra i suoi capi, a ciò che è oggi: la migliore carrera a tappe del mondo e uno dei più grandi eventi sportivi esistenti, per molti il terzo dopo il Mondiale di Calcio e i Giochi Olimpici. Bastano solo alcuni dati: la carrera viene trasmessa in 190 paesi, attraverso più di cento canali che offrono in media circa sessanta trasmissioni in diretta. Questa copertura televisiva permette di calcolare un'audience potenziale tra i 3.000 e i 3.500 milioni di telespettatori in tutto il mondo, a cui si aggiunge ciò che si muove su altri mezzi di comunicazione, con circa duemila giornalisti accreditati. A questo si aggiunge Internet, dove il sito web del Tour ha superato i 30 milioni di visitatori unici e i 110 milioni di pagine viste, senza contare i social media, dove totalizza 2,2 milioni di follower. Tutta questa popolarità mediatica diventa ancora più spettacolare quando si trasferisce sulle strade attraversate dalla carrera: i tifosi francesi prendono le vacanze in funzione del Tour, la carrera condiziona il turismo delle zone che attraversa, le immagini della carrera promuovono la Francia e le strade si riempiono di centinaia di migliaia di appassionati, desiderosi di vedere i ciclisti, ma anche di godersi la carovana commerciale che precede la carrera, con merchandising, spettacoli e ogni tipo di regalo… C’est le Tour, la corsa ciclistica che agli inizi salvò dalla bancarotta un giornale, moltiplicando per sei le sue vendite, e che oggi è la migliore carrera del mondo